Percorsi e Cambiamenti

Percorsi e cambiamenti

Credere nel cambiamento non è facile, richiede impegno e coraggio.
Se è vero che in alcuni casi non possiamo scegliere, in molti altri possiamo intervenire per orientare il nostro futuro.
Da adulti abbiamo paura di abbracciare il cambiamento: siamo condizionati da contesti in cui prevale la gerarchia, l’obbedienza al “capo” e trascuriamo l’interazione con gli altri, la socialità e la collaborazione che hanno contraddistinto la nostra infanzia.
Sul luogo di lavoro spesso ci difendiamo dietro radicate convinzioni, trasmesse di generazione in generazione, spaventati dall’ignoto e restii a modificare le nostre abitudini.
La resistenza che danneggia le relazioni e limita le possibilità che una collaborazione autentica può offrire, privandoci di quell’approccio cooperativo. E di quello spirito di squadra tipico di un modello orizzontale basato sulla condivisione di informazioni e conoscenze e che permette di affrontare efficacemente le difficoltà e garantisce il conseguimento dei migliori risultati.

di Efisio Polidoro

Quanto è dura la strada da percorrere. Veniamo al mondo grazie al desiderio di due persone, cresciamo forgiati dagli insegnamenti tramandati nel corso di generazioni e, passo dopo passo, disseminiamo tasselli che incastrandosi creano il nostro puzzle della vita. 

Un puzzle che man mano prende forma, ci definisce, influenzato dalla cornice del contesto che abbiamo intorno e nel frattempo, senza accorgercene, alcuni lati iniziano ad allungarsi. 

Un insieme di percorsi possibili, vie inesplorate, dove un semplice “si” o un “no” sono in grado di cambiarne direzione, fine o continuità. Estensioni che hanno la forza di incastrarsi ma anche di respingere quelle degli altri. 

Il nostro percorso, o per meglio dire, i nostri percorsi, li sogniamo, proviamo a crearceli ma spesso, nostro malgrado, ci troviamo a subirli. 

Interrogarsi costantemente sulle nostre possibilità, sull’aver raggiunto un traguardo, uno scopo, aver fatto la scelta giusta, è tipico della natura umana. 

Lo è tanto quanto chiedersi se, con opportunità diverse: avremmo potuto fare di meglio? saremmo stati all’altezza? avremmo davvero avuto la capacità di cambiare le cose? 

Se è vero che in molti casi una scelta diversa non sarebbe stata possibile, lo è ancor di più il fatto che spesso abbiamo la possibilità di intervenire. La cosa strana è che tendiamo a perdere tempo con il lamentarci dei pezzi che ci sono nella scatola o, guardando quelli già posizionati, a criticare le forme di ciò che non abbiamo posizionato noi. 

Credere nel cambiamento non è da tutti, costa fatica, pratica, dedizione. Spesso si chiede di pensare fuori dagli schemi, troppo spesso, ma allora siamo davvero sicuri che gli schemi imposti siano quelli giusti? 

Da piccoli cominciamo a giocare da soli, impariamo ad interagire con gli altri, veniamo divisi in gruppetti per stimolare socialità e collaborazione fino a quando, ad un certo punto, entriamo in un mondo aspro e crudo in cui regna la distopica percezione che scalata sociale e quella gerarchica siano le corsie preferenziali per il raggiungimento della tanto attesa felicità. 

Si assiste troppo spesso ad un verticismo che limita il pensiero altrui, come se ognuno dovesse occupare forzatamente un ruolo, una casella ben precisa e guai a muoversi al di fuori di un perimetro imposto da qualcun altro. 

Questa affermazione potrebbe far saltare dalla sedia chi, ancorato ai capisaldi dei tipici modelli organizzativi, vede un chiaro affronto alla classica impostazione gerarchica del “Capo” e “Sottoposto”. Come se qualcuno volesse prontamente togliere quanto, con grande fatica, ci si è guadagnati in anni di duro lavoro. 

Si tratta a dire il vero di semplici resistenze, meccanismi di difesa dovuti in buona parte all’attaccamento alle proprie abitudini e convinzioni, alla paura di ciò che non si conosce, anticorpi per combattere qualcosa o qualcuno che possa mettere in discussione l’autorità. 

Sono tutti comportamenti che vanno contro l’etica di cooperazione che dovrebbe esserci all’interno di una sana organizzazione, il che porta inevitabilmente ad innalzare muri e barricate a difesa degli “orti” di cui ci si sente padroni. 

Il mio compito l’ho portato a termine”, “Queste informazioni sono del mio ufficio”, “Si è sempre fatto cosi”, sono tutte frasi che non tengono mai conto di un Noi. Come se ci fosse una netta distinzione tra il raggiungimento degli obiettivi personali e quelli dell’intera organizzazione. Come se il problema di uno, non fosse il problema di tutti. 

Non voler comprendere la necessità di cambiare causa solo asimmetrie informative, di potere, di relazioni, che limitano l’accesso alle immense opportunità che si presentano. Agire sempre nello stesso modo impedisce la creazione di un modello orizzontale, a conti fatti nettamente più efficace, che stimoli la motivazione di tutti a beneficio di una maggiore trasversalità di azione e tempestività di reazione. 

Se vogliamo davvero crescere forse è il caso di non dimenticare quel bambino che, da qualche parte dentro di noi, ancora disegna, sogna e posiziona pezzi di puzzle giocando e divertendosi con gli altri.